Cos' è L'Esegezi ?

Cos' è L'Esegezi ?

In filologia, l'esegesi (in greco ἐξήγησις [ek'sɛgɛsis]) è l'interpretazione critica di testi finalizzata alla comprensione del significato.
Campi di applicazione possono essere, ad esempio, la legislazione (esegesi giuridica), la storia (esegesi delle fonti storiche del Medioevo), la letteratura (esegesi manzoniana) o la religione (esegesi biblica). In quest'ultimo caso, l'esegesi ha una forte affinità con l'ermeneutica, intesa come tecnica per la corretta esegesi dei testi sacri.

L’interpretazione dei testi biblici continua a suscitare ai nostri giorni un vivo interesse provocando vivaci discussioni, che, in questi ultimi anni, hanno anche assunto dimensioni nuove. Data l’importanza fondamentale della Bibbia per la fede cristiana, per la vita della Chiesa e per i rapporti dei cristiani con i fedeli delle altre religioni, la Pontificia Commissione Biblica è stata sollecitata a esprimersi su questo argomento.
(Gv 18. 37) Chi è dalla verità ascolta la mia voce dell'Em.mo Card. Joseph Ratzinger al documento L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa.

Lo studio della Bibbia è come l’anima della teologia; lo dice il Concilio Vaticano II (Dei Verbum 24), rifacendosi a una espressione del Papa Leone XIII. Tale studio non è mai finito; ogni epoca deve di nuovo, a modo suo, cercare di capire i Libri Sacri. Nella storia dell’interpretazione, l’uso del metodo storico-critico ha segnato l’inizio di una nuova era. Grazie a questo metodo sono apparse nuove possibilità di capire il testo biblico nel suo senso originario. Come ogni realtà umana, questo metodo nasconde in sé, con le sue possibilità positive, alcuni pericoli. La ricerca del senso originario può portare a confinare la Parola esclusivamente nel passato, di modo che la sua portata presente non è più percepita. Il risultato può essere che soltanto la dimensione umana della Parola appaia reale; il vero autore, Dio, sfugge alle prese di un metodo che è stato elaborato in vista della comprensione di realtà umane. L’applicazione alla Bibbia di un metodo “profano” era necessariamente soggetta a discussione.
Tutto ciò che aiuta a conoscere meglio la verità e a disciplinare le proprie idee offre alla teologia un contributo valido. In questo senso, era giusto che il metodo storico-critico fosse accettato nel lavoro teologico. Però tutto ciò che restringe il nostro orizzonte e ci impedisce di portare lo sguardo e l’ascolto al di là di quanto è meramente umano, deve essere rigettato affinché un’apertura sia mantenuta. Perciò l’apparizione del metodo storico-critico ha subito suscitato un dibattito circa la sua utilità e la sua giusta configurazione, un dibattito che non è concluso finora in nessun modo.

In questo dibattito, il Magistero della Chiesa cattolica ha più volte preso posizione con importanti documenti. In primo luogo, il Papa Leone XIII ha fissato alcune direttive per l’orientamento dell’esegesi, nella sua enciclica Providentissimus Deus del 18 novembre 1893. In un tempo in cui si manifestava un liberalismo estremamente sicuro di sé e persino dommatico, Leone XIII esprimeva soprattutto diverse critiche, senza escludere pertanto l’aspetto positivo delle nuove possibilità. Cinquant’anni dopo, grazie al lavoro fecondo di grandi esegeti cattolici, il Papa Pio XII poteva dare maggior posto agli incoraggiamenti e invitare, nella sua enciclica Divino afflante Spiritu del 30 settembre 1943, a sfruttare i metodi moderni per la comprensione della Bibbia. La Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Rivelazione divina, Dei Verbum, del 18 novembre 1965, riprende tutto questo, unisce le prospettive durature della teologia patristica e le nuove conoscenze metodologiche dei moderni e ci dà una sintesi, che rimane autorevole.

Nel frattempo, la gamma metodologica degli studi esegetici si è ampliata in un modo che non era prevedibile trent’anni fa. Nuovi metodi e nuovi approcci vengono proposti, dallo strutturalismo all’esegesi materialista, psicanalitica e liberazionista. Da un altro lato ugualmente, nuovi tentativi sono in corso; mirano a trarre profitto, di nuovo, dai metodi dell’esegesi patristica e a proporre nuove forme d’interpreta­zione spirituale della Scrittura. La Pontificia Commissione Biblica si è quindi presa il compito, cent’anni dopo la Providentissimus Deus e cinquant’anni dopo la Divino afflante Spiritu, di cercare di definire una posizione di esegesi cattolica nella situazione attuale.

Nella nuova conformazione che le è stata data in seguito al Vaticano II, la Pontificia Commissione Biblica non è un organo del Magistero, bensì una commissione di esperti che, consapevoli della loro responsabilità scientifica ed ecclesiale in quanto esegeti cattolici, prendono posizione su problemi essenziali d’interpretazione della Scrittura e sanno di avere per questo la fiducia del Magistero. Così è stato elaborato il presente documento. Esso presenta una visione d’insieme, ben fondata, del panorama dei metodi attuali e offre, a chi lo chiede, un orientamento circa le possibilità e i limiti di queste vie. Su questo sfondo, il documento considera la questione del senso della Scrittura: in che modo è possibile riconoscere tale senso, in cui si compenetrano la parola umana e la parola divina, la singolarità dell’evento storico e la costante validità della parola eterna, contemporanea di ciascuna epoca. La parola biblica ha la sua origine in un passato che è reale, ma non soltanto in un passato, viene anche dall’eternità di Dio. Ci conduce nell’eternità di Dio, passando però attraverso il tempo, che comprende il passato, il presente e il futuro. Credo che il documento rechi veramente un prezioso aiuto per rischiarare la questione della giusta via verso la comprensione della Sacra Scrittura e apra nuove prospettive. Prosegue nella linea delle encicliche del 1893 e del 1943 e prolunga questa linea in maniera feconda.
PER CONTINUARE, SI CONSIGLIA IL SEGUENTE LINK :
http://christusveritas.alt​ervista.org/esegesi_biblic​a.htm